Al museo La Sapinière di Barcellonette in Francia nel percorso museale viene proiettato un video che racconta l’emigrazione in Piemonte di Joseph Couttolenc, nonno paterno di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, che nel 1730 si trasferisce da Saint Pons in Provenza a Bra per motivi di lavoro.
Il video è stato realizzato grazie alla collaborazione tra la Casa Natale di S.G.B. Cottolengo di Bra e il museo municipale di Barcellonette.
Di seguito la traduzione in italiano:
Joseph Couttolenc parte per il Piemonte dove trascorrerà tutto l’inverno, come prima di lui suo padre Antonio e suo fratello Pietro, con cui si è addestrato al mestiere del venditore ambulante. L’attività invernale ridotta in Ubaye lo ha spinto, come tanti altri, a lasciare la fattoria di Saint-Pons in autunno, il calore del focolare, per seguire i sentieri della transumanza verso est.
L’Ubaye è allora francese, ma il re di Piemonte-Sardegna promuove allora l’entrata degli stranieri nel suo regno. Joseph è accreditato per il commercio itinerante. Ha in tasca, i documenti che ne garantiscono lo stato di salute e l’identità.
L’itinerario, attestato dagli archivi notarili, segue la valle Stura dove, per tradizione, Giuseppe si ferma presso dei parenti, continuando così a consolidare una rete di conoscenze, di amici, di clienti. Va fino a Bra dove incontra un po’ del suo paese natale presso Madame Jacques, originaria di Meyronnes, nell’Alta Valle di l’Ubaye. Vi ritrova la sua lingua, suo fratello Pierre sposato con una figlia di Madame Jacques, un alloggio e un deposito, cioè un punto di appoggio per commerciare. Fa i mercati in cui trova una clientela importante per i tessuti e i manufatti di corda che ha nella gerla.
Bra è infatti un borgo situato in una regione agricola ricca, già rinomata in Piemonte per i suoi prodotti orticoli.
I panni di lana prodotti nelle fattorie dell’Ubaye trovano facilmente acquirenti per i lavori dei campi; Succede che la clientela paghi con degli appezzamenti di terra; ciò permetterà a Joseph di avere un inizio di ancoraggio territoriale e quindi sufficiente credito per riportare in Ubaye mercanzie diversificate e, di conseguenza, apprezzate. Egli completa la sua attività commerciale con un’attività agricola su questa terra il cui rendimento ed il clima favorevole lo affascinano.
Qualche anno dopo il suo primo soggiorno invernale a Bra, si sposa. Dato che il matrimonio, comporta l’italianizzazione del cognome, si chiama ora: Giuseppe Cottolengo. Un anno dopo il suo matrimonio e il suo impianto definitivo a Bra, ottiene la licenza per aprire un negozio fisso nel centro. Sua moglie, che è una figlia di Madame Jacques, gestisce il negozio. Quanto a lui, continua a fare i mercati e mette le basi commerciali fino a Torino.
I grossisti che lo forniscono a Torino sono, i Donaud, gli Aubert, i Fabre, tutti originari dell’Ubaye. Nella casa di Bra dove lui si è stabilito dopo il matrimonio, accoglie famiglie e amici. Mantiene così il contatto commerciale con i fornitori dell’Ubaye.
Nel 1760, dopo 20 anni di lavoro, la sua base patrimoniale è solida: è in possesso di quattro case che affitta, terreni agricoli che lavora. La prudenza, l’abilità commerciale, il lavoro in rete familiare e le circostanze politiche favorevoli spiegano questo successo straordinario. Va di pari passo con il prestigio sociale. Infatti, Giuseppe, diventa patrono di una cappella riservata ai defunti della sua famiglia. Esiste ancora e vi è sepolta la sua prima moglie.
A cinquant’anni, si risposa con una ragazza della buona borghesia, figlia del sindaco: Anna-Cristina Almonte. Questa unione testimonia il livello di inserimento di Giuseppe nella sua città. Nove figli nasceranno. Il papà, ad ogni nascita, ingrandisce il patrimonio per assicurare il futuro dei suoi discendenti. Compra una casa in città, che corona il percorso di integrazione.
Alla sua morte, nel 1783, suo figlio maggiore, Giuseppe Antonio, si ritrova capo di famiglia. Lui non ha conosciuto, come suo padre, i problemi connessi con l’inserimento in un paese straniero, possiede la lingua, una formazione giuridica molto solida e trova subito il suo posto nell’élite sociale. Gli stessi valori dei suoi ascendenti guideranno la sua vita. Questi sono: famiglia, patrimonio, bene comune.
Il suo impegno nella vita pubblica è un diritto e un dovere che il proprio livello di reddito gli impone. Essendo cambiato il contesto economico, Giuseppe Antonio abbandona l’attività commerciale e si dedica al suo lavoro di amministratore di beni. Acquista una casa del XV secolo adiacente alla casa di famiglia, che viene ampliata. Egli dedica tutte le sue cure all’educazione dei suoi 12 figli.
Con Giuseppe Benedetto, il primogenito, la storia familiare prende un corso completamente diverso, in un mondo totalmente cambiato. La campagna piemontese è devastata dalle truppe napoleoniche. Le istituzioni politiche esplodono. Napoleone chiude i seminari ma Giuseppe Benedetto ne frequenta i corsi in clandestinità.
Nel 1827 fu chiamato al capezzale di Marie Gonnet, una donna di Lione agonizzante che tutti gli ospedali di Torino avevano rifiutato. È allora che capisce qual è la sua missione. Vivrà per e tra coloro che non sono accolti da nessuna parte, nell’estrema povertà che favorisce la libertà e l’attenzione agli altri. Le donazioni e i volontari affluiscono per l’accoglienza dei miseri e degli esclusi nella Piccola Casa della Divina Provvidenza che apre a Torino. La Piccola Casa, chiamata da tutti “il Cottolengo” si è ingrandita a misura dei bisogni.
Nessuna grande struttura d’insieme ma un’accoglienza familiare che sostiene la persona nella sua globalità. Nessuna burocrazia: tutti quelli che si presentano sono accolti. È un complesso atipico, riconosciuto dal governo italiano, che al presente copre 112.000 metri quadrati a Torino. Il carisma di Giuseppe Benedetto e l’abnegazione delle tre congregazioni religiose da lui fondate irradiano in tutto il mondo. Circa 120 case in totale. Giuseppe Benedetto fu canonizzato nel 1934. Riposa nella Piccola Casa, la Piccola Casa della Divina Provvidenza, a Torino.
Traduzione a cura di don Giovanni Morero