«Lavorare alla Piccola Casa tra criticità, risorse e proposte: dall’idea alla realtà». È il tema dell’incontro di formazione e confronto per i dirigenti in servizio presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza che si è aperto nel pomeriggio di giovedì 17 settembre presso la sala Fratel Luigi Bordino del Cottolengo di Torino e proseguirà fino a sabato 19 settembre.
Ha introdotto le giornate di studio il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, con un intervento dal titolo «Tradere senza tradire» che riportiamo integralmente di seguito.
Cari partecipanti a questo incontro,
forse è la prima volta che si riuniscono insieme per tre giorni di riflessione e confronto quanti, per un disegno misterioso della Provvidenza, a vario titolo ricoprono ruoli di dirigenza nella Piccola Casa. Con i membri del Collegio Direttivo, e le Superiore Provinciali, in questa sala sono presenti i Direttori Generali di settore e i loro vicari, i responsabili degli Uffici e dei Servizi, nonché i Direttori delle due cooperative sociali che condividono con la Piccola Casa il servizio diretto agli ospiti, e che per questo ci è sembrato particolarmente importante che fossero presenti.
Una prima considerazione vorrei farla proprio sulla compagine di questa assemblea: essere ai vertici – nella diversità dei ruoli – nella gestione di un’Opera di Dio è un onore immeritato ma anche una responsabilità grande sia verso Colui che, nel misterioso disegno della Provvidenza, lo ha permesso, sia verso i poveri che il Signore ci ha affidato, sia verso la comunità umana, per la sua rilevanza sociale, culturale e direi anche politica di quello che facciamo, dando al sostantivo politica il suo significato più alto.
A noi, proprio a noi in primis, è dato l’indispensabile, prezioso e gravoso compito di essere gli interpreti del carisma e gli attori della sua incarnazione negli attuali contesti: forse non siamo i migliori per questo compito – anzi – ma siamo coloro ai quali le circostanze e speriamo la Divina Provvidenza ha voluto affidare questo incarico. E se san Giuseppe Benedetto Cottolengo come fondatore, ha avuto la grazia per iniziare quest’Opera voluta da Dio, vogliamo credere e invocare da Dio la luce dello Spirito per continuare oggi, con fedeltà creativa al carisma originario, la stessa missione, corresponsabili nella gestione di una realtà che ci supera e ci comprende.
L’insistenza della forma sinodale nella conduzione della Piccola Casa, all’origine di questo stesso nostro ritrovarci oggi, affonda le sue radici nella convinzione che solo da una comunione profonda e da un’unità di intenti condivisi è possibile discernere quanto è necessario per il difficile compito che ci è stato affidato, consapevoli anche delle nostre fragilità e piccolezze, della possibilità di errore, pronti a ricominciare ogni volta che se ne abbia la coscienza, però sempre vigilanti perché retta intenzione, trasparenza gestionale e amministrativa, ricerca del bene per coloro che sono la ragion d’essere della Piccola Casa e della nostra missione – i poveri -, abbiano sempre il primato e siano atteggiamenti ispiratori del nostro agire. E di questo, ciascuno di noi, dovrà rendere conto alla sua coscienza e a Dio!
Perché questo incontro?
Quest’anno, a causa della pandemia dalla quale, purtroppo, non siamo ancora fuori e che non sappiamo se ci riserverà ancora sorprese più spiacevoli di quanto abbiamo già avuto (in questa occasione ringrazio tutti per lo sforzo corale che è stato fatto per affrontare un’emergenza senza precedenti e custodire il più possibile la vita e la salute degli abitanti della Piccola Casa), non è stato possibile celebrare la terza assemblea della Famiglia Carismatica Cottolenghina che era stata già programmata sul tema ”Collaboratori dell’Opera creatrice di Dio: il lavoro nella Piccola Casa”. Pertanto un primo motivo che ci vede qui radunati è dare avvio ad una riflessione che ci vedrà impegnati tutto l’anno nel suo approfondimento. Il tema di quest’anno è, naturalmente, in continuità con quelli degli anni precedenti, in particolare dell’ultimo dove abbiamo considerato la corresponsabilità di tutte le membra del Corpo cottolenghino nella missione carismatica.
Il lavoro, è la forma concreta mediante la quale collaboriamo con Dio, perché attraverso le nostre braccia, la nostra mente, il nostro cuore, la nostra offerta esistenziale e la nostra preghiera Egli possa continuare ad amare i suoi figli, in modo particolare coloro che sono in maggiore difficoltà e sono vittime di quella cultura dello scarto che non accenna a diminuire nel nostro contesto sociale. La nostra Mission ci ricorda che ogni operatore può essere lo strumento della Divina Provvidenza nel servizio dei poveri.
La tradizione cottolenghina ha sempre avuto una grande attenzione al tema del lavoro, sin da quando il nostro Fondatore ha voluto iniziare laboratori nei quali le giovani e i giovani provenienti da famiglie indigenti ne potessero imparare uno e quindi poi inserirsi nella vita sociale con adeguata preparazione.
Consapevoli della capacità che ha il lavoro di dare dignità alla vita e accrescere il cammino spirituale della persona – come ci ricorda la carta Costituzionale della nostra amata Italia – la Piccola Casa non ha mancato nel tempo di offrire la possibilità ai nostri ospiti di esercitarsi nelle arti a loro più consone e questo non per occupare il tempo ma perché convinti, come ci ha insegnato il Cottolengo, che “anche i piccoli hanno diritto alla loro piccola dignità”.
Oggi, però, c’è un altro motivo che rende necessaria un’attenta riflessione su questo tema: la presenza di migliaia di operatori che nei tre settori nei quali è impegnata l’attività della Piccola Casa – sanità, assistenza e formazione – sono diventate presenze indispensabili per portare avanti la nostra Opera e le nostre opere.
Cari tutti, oggi più che mai, nella Piccola Casa come nel contesto socio-culturale del nostro tempo, è necessario evangelizzare il lavoro; la mia impressione, infatti, è che si sia perso la coscienza della sua alta vocazione di prolungare l’opera del creatore e sia diventato piuttosto una condanna necessaria – quando si ha la fortuna di averlo – da scontare con sopportazione per il necessario sostentamento personale e della propria famiglia. La dimensione della fatica e la mercificazione dell’opera prestata, sembrano diventare predominanti sul possibile senso e sul valore intrinseco della laboriosità. E questo è drammatico perché nella vita molto tempo è dato proprio al lavoro.
A quanti sono preposti a dirigere – nella diversità dei ruoli e delle competenze – un’opera come la nostra, oggi è affidato l’arduo ma necessario compito di aiutare la realtà per la quale si presta la propria professionalità, a riscoprire che il lavoro può darci benessere prima ancora che reddito, convinti che gli esseri umani sono innanzitutto cercatori di senso.
Sì a noi l’arduo compito di esplicitare anche gli elementi non-monetari che determinano il benessere dei lavoratori. Questi giorni ci aiutino a intravvedere le strade per aiutarci e aiutare concretamente a scoprire che felicità e significato sono le due dimensioni nascoste del lavoro e che solo senso e scopo ci fanno appassionare a quello che dobbiamo fare.
La ricerca di senso, anche del lavoro, non può essere un lusso per pochi e per questo dobbiamo aiutarci ad affrontare quello che qualcuno ha chiamato il paradosso della fatica, allo stesso tempo evitata, ma al quale, contemporaneamente, occorre attribuire un grande valore esistenziale. Ha scritto papa Francesco nella Laudato sii: “Il lavoro è una necessità. È parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” (128). Il nostro impegno di quest’anno è diffondere e rendere concreta nelle declinazioni strutturali questa verità
Solo se sapremo aiutarci a ritrovare il filo che lega senso, felicità e lavoro potremo creare quel clima favorevole necessario per un servizio competente e di qualità ai nostri ospiti. Una grazia, dunque, dobbiamo chiedere quest’anno: di incontrare con Cristo, il senso della vita che non ci risparmia il lavoro, ma ci mette, come i monaci, nelle condizioni di farlo da uomini liberi e non da schiavi.
Dal programma che avete fra mano potete vedere che le giornate sono divise in tre parti: ascoltando, ascoltandoci, dall’idea alla realtà.
Inizieremo la prima sessione di lavoro mettendoci anzitutto in ascolto della Parola Dio per evangelizzare l’idea di lavoro e avere una buona notizia che lo redima e ce ne faccia riscoprire il senso; quindi ascolteremo una testimonianza diretta non solo di un’istituzione carismatica che cerca di coniugare lavoro, economia e carisma ma anche di un protagonista della Chiesa contemporanea che, sull’insegnamento di papa Francesco, prova a dare ai termini del nostro discorso, novità quanto a prassi, sempre su un fondamento antico perché affonda le sue radici nel Vangelo di Cristo.
Cari amici, possano davvero queste giornate di lavoro e di confronto aiutarci a tradere senza tradire il carisma straordinario che il Signore ci ha donato per le mani e il cuore di san Giuseppe Cottolengo, tradere – consegnare alla storia contemporanea e futura un senso possibile perché la nostra vita trovi gusto e renda gloria a Dio nel servizio ai poveri.
padre Carmine Arice
«Lavorare alla Piccola Casa tra criticità, risorse e proposte: dall’idea alla realtà».