Pubblichiamo l’omelia che il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha pronunciato nel pomeriggio di mercoledì 29 aprile, vigilia della Solennità di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, nella Messa che ha presieduto presso la Chiesa Grande del Cottolengo di Torino, vuota in ottemperanza alle misure anticontagio.
Cari fratelli e sorelle,
festeggiamo la solennità di san Giuseppe Cottolengo in un momento così singolare e in un modo inimmaginabile. Generalmente in questa giornata la nostra chiesa grande è piena dei diversi membri della famiglia carismatica cottolenghina, la gioia è sui volti di tutti e la frase più ripetuta è: buona festa del Santo. Deo gratias!
Ma quest’anno le circostanze ci obbligano ad una modalità di celebrazione diversa: le accettiamo non senza sofferenza ma nello stesso tempo non vogliamo perdere l’occasione per fare, anche in questo contesto, un’esperienza di grazia, nella certezza che Dio è solo bene, tutto bene, il solo bene.
Quando abbiamo scelto il tema pastorale di quest’anno: “Insieme nella Piccola Casa. Molti un sol corpo”, nessuno avrebbe immaginato che molte membra di questo corpo avrebbero dovuto vivere isolate, in quarantena, passare attraverso una malattia seria, e per tante di esse vedere la morte in faccia; chi immaginava che la fedeltà al proprio lavoro avrebbe potuto significare rischiare la vita. Magari, se avessimo saputo, avremmo scelto un altro tema, forse più legato al dolore, alla sofferenza, al senso del male, all’aiuto reciproco in tempi di difficoltà, sul valore della sofferenza o altro … tutte riflessioni utili!
Ma la Provvidenza Divina ci ha portati sulla strada giusta e ci ha ispirato il tema pastorale di cui avevamo bisogno quest’anno, portando la nostra attenzione nell’approfondirlo non tanto su questioni organizzative di questa nostra grande Opera, ma su aspetti di sostanza, di concretezza e tutto incentrato sulla vita.
Siamo chiamati a essere Insieme nella Piccola Casa: mai come in questi giorni abbiamo sentito la famiglia cottolenghina così unita, così vicina, così solidale nel cercare di affrontare insieme questa drammatica situazione: chi con l’azione diretta, altri con la preghiera; chi nella fedeltà rischiosa al servizio, altri col sacrificio; chi con il dono delle sue forze fino allo sfinimento, chi addirittura, come qualche sorella, con l’offerta della propria vita.
Le case fuori dall’Italia si sentono tutte qui e noi tutti presenti là dove c’è una presenza cottolenghina, non senza qualche preoccupazione. Ogni giorno, tra il sottoscritto, la Madre, il Fratello e i Consiglieri, si fa il giro del mondo sentendo ora una realtà ora l’altra o siamo raggiunti da loro stessi: lettere, messaggi, video, telefonate. Per questo, cari amici, quando dico che questa chiesa grande, vuota fisicamente, non è stata mai così piena della presenza dei figli della Piccola Casa, non faccio un auspicio o uso un’immagine poetica ad effetto, ma racconto una realtà. In Dio lo spazio fisico ha regole diverse da quelle misurabili da strumenti umani.
E così abbiamo capito che non c’è nulla come il dolore, la sofferenza, la difficoltà che fa di “Molti un solo Corpo” perché ci costringe ad andare oltre a tante cose secondarie, uniti verso l’essenziale. Non sto dicendo che la pandemia è una benedizione, ma sto raccontando cosa è successo, vista la disponibilità dei più a cercare il bene gli uni degli altri. Capiamo allora la fede e l’amore incondizionato del Cottolengo nella Provvidenza Divina: egli sapeva bene che Dio non vuole mai il male, è contro la sua natura, e non permette nemmeno che il male ci schiacci, ma per dono suo e della virtù della fede, porta ogni cosa al bene. E così in una notte dell’umanità che non ha risparmiato nemmeno la nostra famiglia carismatica, si sono accese tante luci, alcune piccole altre molto grandi e abbiamo capito che “se un membro del Corpo soffre, tutto il Corpo soffre; se un membro gioisce, tutto il Corpo gioisce”. Lo stiamo capendo non in teoria ma nell’esperienza concreta che stiamo vivendo.
Il Cottolengo è stato un uomo che sempre si è lasciato interpellare dalle situazioni: la Piccola Casa non è nata a tavolino da un piano strategico. Lui aveva un solo pensiero fisso nella sua mente e nel suo cuore: annunciare il Vangelo e, spinto dalla carità di Cristo, prendersi cura di chi era più in pericolo a credere all’Amore paterno di Dio. Per rispondere a questa esigenza evangelica prima che solidaristica, è nata la Piccola Casa.
In questi giorni ho toccato con mano come, nel nome del Signore Gesù glorificato dal nostro Santo a tal punto da vederlo realmente presente nei poveri, tutti hanno cercato di amare nella concretezza, di custodire la vita più fragile, di sostenere la fede dei più deboli con la carità, l’amicizia e la preghiera. Le circostanze che la storia aveva messo sulla strada del Santo sono state tante, compreso il tifo da cui, a 56 anni, è stato contagiato ed è morto; noi, oggi, dobbiamo affrontare questa pandemia e se avremo la stessa carità per Dio e per i fratelli che ha avuto il Cottolengo potremo vedere quest’Opera di Vangelo continuare ad essere feconda di frutti. In questo senso, allora, è proprio vero che “a chi straordinariamente confida, il Signore straordinariamente provvede”. E così vediamo ospiti accuditi con cura, ammalati che guariscono, altri che concludono serenamente la loro giornata terrena, penso in particolare alle nostre Sorelle che hanno raggiunto la casa del Padre in questo periodo; constatiamo generosità senza risparmio di operatori che si donano, magari si infettano, guariscono e non vedono l’ora di tornare in servizio e vediamo anche la fantasia della carità che coglie anche questa dolorosa circostanza come occasione anche per aprire nuovi servizi come la terapia intensiva che domani 30 aprile inaugureremo… e l’elenco potrebbe essere ancora lungo. Come non ringraziare, poi, la Divina Provvidenza che si manifesta attraverso la generosità di benefattori che in questo periodo hanno voluto far sentire il loro sostegno e la loro vicinanza in modo concreto.
Molti un sol Corpo abbiamo sperimentato, come la prima comunità cristiana, che dovevamo mettere in comune tutto quello che avevamo: la fede, la carità, le risorse umane ed economiche, la professionalità, le competenze, i sacrifici personali, lo sforzo di vincere la paura, la preghiera. Lo abbiamo fatto, lo stiamo facendo e lo dovremo fare sempre di più!
E così, in un gioco di squadra, abbiamo visto spiegato le due immagini usate nella lettera pastorale: la Piccola Casa come un Corpo con diverse membra e molteplici funzioni, e la Piccola Casa come un prisma con diverse facce su cui sono scritti i nomi dei diversi rami della Famiglia Cottolenghina, unite dalla missione carismatica che le lega. Nessun relatore avrebbe saputo spiegarle così bene sul “vivo della nostra carne” come mi ha scritto un’operatrice. Ci siamo accorti dell’importanza delle grandi cose, ma anche di quelle piccole, dei gesti che tutta l’Opera compie nel suo insieme e di quelli nascosti che ognuno ha cercato di moltiplicare in questi giorni, ma sempre con l’unico scopo di glorificare Dio e servire i fratelli.
Anche le lacrime in questi giorni non sono mancate: quelle di dolore certamente, ma anche quelle di commozione, il pianto di fronte a una persona cara – religiosa e no – che non abbiamo potuto salutare, e fra tutte non posso non ricordare la carissima Madre Caterina, e la commozione nel vedere una foto di un nostro ospite uscito dalla terapia intensiva inviatami come un trofeo sotto il quale vi è scritto: ce l’abbiamo: Deo gratias!
Questa è la Piccola Casa, cari amici, realtà che in questi giorni di dolore si rivela a noi in tutta la sua bellezza e grandezza non perché fatta da persone perfette, non perché eroi, non perché senza peccato, ma semplicemente perché Molti, ma un sol Corpo, stiamo cercando di stare nella realtà con la carità di Cristo e quell’amore al prossimo che rende straordinariamente significativa e divinamente gustosa la nostra esistenza. Tutto questo è annuncio di Cielo, è un segno di ciò che viene dall’Alto e che ci indica la meta verso cui stiamo camminando. Tutto questo è fede pasquale dove ci viene rivelato che il venerdì santo non è lontano dalla domenica di resurrezione e l’uno non sta senza l’altra.
E infine la preghiera: come i primi fortunatissimi cristiani di cui ci parla il libro degli Atti degli Apostoli, il Cottolengo voleva la Piccola Casa vivesse un cuor solo e un’anima sola, concordi nella preghiera, primo e più importante lavoro della Piccola Casa. Forse l’assicurazione più frequente che abbiamo sentito in questo periodo, unito allo zelo della carità, è il ricordo nella preghiera. Dalle case sparse nel mondo dove si sono moltiplicate veglie, momenti di adorazione eucaristica fino a quella che quotidianamente celebriamo in questa chiesa, dove ogni giorno ci si ritrova come in un cenacolo per la preghiera del rosario e la celebrazione dell’eucarestia, la preghiera ci sta illuminando e sostenendo.
Cari fratelli e sorelle non ci sembri che la preghiera sia poca cosa rispetto a quello che concretamente possiamo fare per gli altri anche in tempi come questi. Ha scritto il Cardinal Martini commentando il comandamento dell’amore del prossimo “Tu amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18): “Noi siamo chiamati a osservare questo comandamento non solo attraverso le nostre azioni, ma anche nella preghiera di intercessione. Ecco cosa sta dietro la preghiera di intercessione: vi sta la profonda unità del genere umano, la strettissima relazione reciproca che ci lega gli uni agli altri e che a livello di coscienza viene vissuta, riconosciuta e accettata”.
Grazie Signore perché sei Tu che in questa notte così buia ci prendi per mano e ci accompagni passo passo nel cammino della vita; sei Tu il Divin Maestro che ci spieghi come camminare Insieme nella Piccola Casa nella storia del tempo sulle orme di san Giuseppe Cottolengo, sei Tu che giorno dopo giorno convinci il nostro cuore che “siamo figli di un buon Padre che pensa più a noi di quanto noi pensiamo a Lui”. Amen!
Torino, 29 aprile 2020
padre Carmine Arice