La celebrazione della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo nella Piccola Casa di Torino
Venerdì Santo, 7 aprile 2023, il Padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha presieduto la liturgia “In Passione Domini” nella chiesa del Cottolengo di Torino.
Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da Padre Arice.
Quando si ascolta il racconto della Passione del Signore, siamo invitati a genuflettere e stare in silenzio dinanzi a Cristo crocifisso che muore sul patibolo più infame, quello riservato ai maledetti della storia e agli infedeli. La scarna e solenne liturgia del Venerdì’ Santo, scevra di ogni elemento che possa distrarre lo sguardo dal Crocifisso, vuole aiutarci ad andare all’essenziale per guardare Colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere”.
Proprio dalla contemplazione di questo Volto, per grazia di Dio, molti uomini e donne hanno trovato il senso della loro vita di fede, lo scopo della loro missione e persino la via della letizia cristiana e della pace. Così è stato per san Giuseppe Cottolengo che davanti al Crocifisso passava momenti intensi e prolungati di preghiera e di meditazione fino a percepire consolazione e forza per la sua esistenza e per la sua missione. Eppure quello del Crocifisso è un volto che non ha bellezza! Queste persone non sono sadiche! Da dove proviene, allora, questa straordinaria fecondità?
Cari Fratelli e Sorelle, non confondiamo mai la croce con il Crocifisso; sapientemente, la liturgia tra qualche momento, ci inviterà a baciare il Crocifisso e non la croce. E se il Crocifisso è diventato un tutt’uno con la croce è stato solo perché ha voluto prendere su di sé tutte le croci degli uomini e delle donne di ogni tempo! È stato questo amore per l’umanità, fedele fino alla fine, che ha imbrutito il Suo volto e la Sua umana bellezza.
Quando Isaia ha scritto l’oracolo che abbiamo ascoltato, ben sei secoli prima dell’era cristiana, forse non poteva immaginare che, un giorno, lo stesso Figlio di Dio avrebbe realizzato alla lettera la sua profezia: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui!”.
Quante reazioni ha conosciuto la storia a questo proposito: Dio non può abbassarsi al punto da farsi uomo, Dio non può morire come un maledetto, Dio non può soffrire perché la sua natura è altra! San Paolo ha avuto il suo da fare per convincere che la sapienza di Dio ha il volto del Crocifisso: “Mentre i giudei chiedono i miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1, 22-24).
E anche nell’era cristiana ci sono voluti centinaia di anni per rappresentare il Crocifisso sulla croce perché era troppo duro e scandaloso vedere Dio ridotto in quello stato: ci sono voluti più di cinque secoli perché, prima in modo simbolico – ponendo sulla croce la testa di un asino, animale profetico – e poi in modo più reale, dipingendo o scolpendo il volto di un uomo, si iniziasse il Cristo nel massimo del suo dolore e per questo nel vertice del suo amore per l’umanità.
Fratelli e sorelle carissimi, oggi, Venerdì Santo, Cristo Crocifisso non ci rivela soltanto la sua opera di salvezza avvenuta nel modo più imprevedibile, ma ci è indicata anche la missione della Chiesa e il metodo per renderla feconda! Il nome di quella croce è quello che anche oggi troviamo scritto sulle spalle di ogni uomo. Quella croce è la stessa croce di coloro che oggi sono afflitti da ingiustizie, solitudini, abbandoni, violenze e da ogni sorta di male che imbrutisce la vita. Quella croce ha il nome della tristezza e della desolazione che tocca le nostre esistenze quando il peccato ci appare come esercizio di libertà; quella croce ha il nome di quanti vedono la loro fragile vita e la loro incondizionata dignità sporcata e talvolta violentata da azioni disumane e da interessi di ogni sorta.
La missione della Chiesa, allora, è la stessa del suo Signore: non girare la testa dall’altra parte e provare, pur con tutte le nostre fragilità, a prendere sulle spalle i crocifissi del nostro tempo per essere segni della salvezza operata da Cristo e collaboratori di Dio nel portare speranza agli uomini. La storia della Chiesa è una incessante storia di carità ed è iniziata oggi, sul Calvario; nasce dal costato di Cristo dal quale è sgorgato sangue ed acqua, simbolo non solo dei segni sacramentali ma anche di quel sacramento dell’amore di Dio che sono chiamati ad essere i discepoli di Cristo. Dio ci chiederà conto se sapremo genuflettere davanti ai crocifissi del nostro tempo come oggi genuflettiamo davanti alla memoria di Cristo Crocifisso.
Prendere su di sé il dolore proprio e degli altri non è facile; per arrivare a mettere assieme croce e Crocifisso è necessario tempo, generosità, preghiera e grazia di Dio, ma quando abbiamo il coraggio di farlo, la bontà di Dio ci sorprende. Lo testimoniano, con sorpresa, quanti hanno provato a farlo magari inconsapevolmente, anche in questa nostra Casa benedetta.
Con il suo permesso, condivido con voi qualche frase di una lettera straordinaria di un’operatrice di casa nostra che mi racconta con pudore ma efficacia quello che sta vivendo: “Dopo 25 anni di attività lavorativa in un’Azienda Ospedaliera Universitaria, ho iniziato a lavorare per La Piccola Casa. Operare al Cottolengo significa vivere la Spiritualità, operare nell’Hospice della Piccola Casa significa condividere, ritrovare la Spiritualità. Ridare dignità alle persone, vedere i loro occhi bassi di quando arrivano, trovare la forza di rialzarsi, guardarti e addirittura sorriderti, è Spiritualità.
Spiritualità è incontrare una mano che era stata abbandonata, ritrovare la dignità e il coraggio di stringere la tua. Spiritualità è la condivisione del percorso dell’ultima fase della vita, farla rimanere tale (vita) fino alla fine, senza aspettare la fine. Negli anni la mia fede ha vacillato ma qui ho conosciuto la Provvidenza. Ho capito, sentito che la Provvidenza c’è ed è grande, perché arriva senza essere invocata oppure la implori ma senza sapere che nome darLe. Arriva quando nessun altro potrebbe farlo perché la provvidenza è la mano di Dio, è la presenza di Dio. Ho ritrovato la Fede che pensavo di aver dimenticato, ho ritrovato la pace e la gioia interiore, sentimenti che mi riempiono e mi scaldano il cuore. Sono un’anima Cottolenghina. Grazie per avermi accolta”.
Fratelli e sorelle questa è la gioia del Vangelo che ha il “solo” prezzo dell’amore e che possiamo gustare quando abbiamo il coraggio di baciare croce e crocifissi.
Padre Carmine Arice