La Messa in Coena Domini nella Chiesa della Piccola Casa di Torino
Giovedì Santo, 6 aprile 2023, il Padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha presieduto la Messa in Coena Domini nella Chiesa del Cottolengo di Torino.
Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da Padre Arice.
Cari fratelli e sorelle, con la messa in Coena Domini, iniziamo le celebrazioni del triduo santo, nel quale faremo memoria della passione morte e resurrezione del Signore, contemplando l’amore di Cristo che, fino alla fine, fino a quando ha detto: “tutto è compiuto”, si è donato a noi.
Già questa mattina, nella messa crismale durante la quale sono stati benedetti gli olii per la celebrazione di alcuni sacramenti e i sacerdoti hanno rinnovato le promesse fatte all’ordinazione, siamo entrati in un clima spirituale straordinario che ogni anno ci fa percepire la grandezza dei misteri che celebriamo.
Sappiamo, però, che fare memoria non significa soltanto ricordare; per il dono dello Spirito Santo, nella memoria il mistero raccontato e celebrato si rende presente a noi, e noi, se lo vogliamo, per grazia di Dio, possiamo diventarne partecipi, lasciandoci toccare profondamente fino al punto di conformarci ad esso.
La liturgia della Parola del triduo santo inizia con la narrazione dell’istituzione della Pasqua ebraica, memoria del passaggio del popolo Ebraico dalla schiavitù d’Egitto alla libertà. È l’evento per eccellenza al quale fa riferimento tutta la Scrittura sia nell’Antica che nella Nuova Alleanza perché in esso è presentato il fine dell’azione di Dio a favore dell’uomo: liberare i suoi figli da tutte le schiavitù che feriscono la loro esistenza anche mortalmente, che appesantiscono il cuore e che intristiscono lo spirito.
Essere donne e uomini liberi non significa vivere come padroni assoluti della propria esistenza, ma avere il cuore puro per vedere Dio, conoscere il vero bene e avere la forza di compierlo; in una parola: essere liberi significa amare, amare sino alla fine! Cristo crocifisso è l’icona dell’uomo libero, Cristo nel cenacolo che si fa semplice pane per essere nutrimento per l’umanità affamata di Dio e bisognosa di salvezza è la rivelazione di un amore libero, senza condizioni; il Signore benedetto mediante il quale ogni cosa è stata creata nei cieli, sulla terra e sottoterra che si fa vulnerabile alla cattiveria degli uomini, è il testimone dell’uomo libero.
Rovesciando, poi, la mondana visione per la quale coloro che sono importanti sono padroni e signori da servire, Egli compie un gesto che non solo sorprende i suoi contemporanei, ma addirittura li scandalizza: depone le vesti, si cinge di un asciugamano e lava i piedi ai discepoli. Ancora una volta la logica dell’incarnazione che è quella dell’abbassamento per amore, sorprenderà: come può essere il Figlio di Dio un inerme bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoria; come può essere il Re e salvatore colui che muore come un maledetto appeso ad una croce, come può essere il Maestro e Signore, Colui che si china a lavare i piedi compiendo il gesto a cui era obbligato lo schiavo. Anzi, forse nemmeno lui!
Si legge in Esodo 21,2: “Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero, senza riscatto”. Un midrash a questo versetto commenta: “Voi non dovrete mai chiedere al vostro schiavo di lavarvi i piedi. Allo schiavo potrete chiedere tutti i lavori immaginabili e possibili, ma non gli direte mai: “Vieni qui, ho i piedi impolverati, lavameli”, perché questo è un gesto di umiliazione estrema e non lo si dovrà chiedere a nessuno, neanche allo schiavo”.
Cari fratelli e sorelle non abituiamoci alla sorpresa di questo episodio evangelico che ogni anno la liturgia del giovedì santo ci fa leggere; non si spenga il nostro stupore nel sentire che Colui che svuotò sé stesso della natura divina abbassandosi fino all’incarnazione e poi alla passione fa un’azione che forse nemmeno agli schiavi si poteva obbligare a fare. Lavare i piedi non significa solo servizio ma servizio umiliante!
Ma attenti: per mettere quel grembiule che ha messo il Maestro occorre prima deporre le proprie vesti, le vesti del proprio io, del proprio egoismo: non si può mettere quel grembiule sul proprio io! Sarebbe una farsa che strumentalizzerebbe anche un gesto così umile e nello stesso tempo reso da Gesù così nobile. Il proprio io è l’Egitto per eccellenza, il luogo della schiavitù più grande, la prigione da cui ci si libera con più difficoltà; come ha ricordato il nostro Arcivescovo questa mattina, servire il proprio narcisismo e gli egoismi più o meno nascosti che ci portiamo dentro, è la mortificazione di ogni gioia vera e della pienezza di Vita; è il proprio io l’origine di ogni peccato contro Dio e contro i fratelli.
In questo contesto, comprendiamo perché proprio l’Eucarestia è il memoriale della Pasqua. Questo è il mio Corpo che è per voi? Per chi? Per tutti, anche per me quando sono Giuda e tradisco l’amore incondizionato di Dio; anche per me quando sono Pietro e sono debole testimone dell’amicizia con il Signore; anche per me quando sperimento non solo di essere fragile e vulnerabile ma anche di essere peccatore bisognoso della sua misericordia. E nella sua grande bontà il Signore rimarrà sempre sacramentalmente presente in quel pane, Suo vero corpo, perché agli uomini di ogni di ogni tempo e di ogni luogo, non sia mai negato il frutto della Pasqua e la liberazione da ogni schiavitù.
Signore Gesù, in questo giorno santo, nel quale mostri la tua magnanimità lavando i piedi anche all’Apostolo che aveva già il suo cuore ferito dalla tenebrosa opera del diavolo, ti preghiamo: liberaci dalla schiavitù più grande, dalla voglia di essere padroni della vita e della morte, dal sentirci migliori degli altri, dal credere che possiamo salvarci da soli. La tua misericordia ci ha graziati chiamandoci a vivere in una Casa abitata da piccoli, da poveri che tendono con umiltà la loro mano, da persone sofferenti che sperimentano la fragilità del loro corpo e che ricordano a tutti noi il bisogno di salvezza. Ti preghiamo, o Signore, fa che la nostra carità sia sincera, umile, sapendo che solo per Tuo dono potremo passare dalla polvere alla vita, dall’insignificanza al senso, dal peccato alla grazia; avremo così la gioia di aiutarti a versare su ogni uomo ferito, e feriti lo siamo tutti, l’olio della consolazione e il vino della speranza. Amen!