La Messa in Coena Domini al Cottolengo di Torino
Giovedì Santo, 14 aprile, il Padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha presieduto la Messa in Coena Domini nella chiesa Grande del Cottolengo di Torino. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da padre Arice.
“Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Cari Fratelli e Sorelle,
in questa celebrazione nella quale facciamo memoria dell’istituzione del sacramento dell’Eucarestia, dell’istituzione del Sacerdozio ministeriale e del dono del Comandamento Nuovo, prima di ogni altra considerazione, sentiamo come rivolte a noi personalmente le parole dell’apostolo Giovanni: “Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Nessun uomo o donna che è apparso sulla faccia della terra rimane fuori da questo amore, nessuno, qualsiasi sia la sua situazione di questo momento, la sua appartenenza etnica, la sua religione; non c’è nessun peccatore che per il quale questo amore non sia offerto fino alla fine, non c’è nessun errore che non trovi nell’amore di Cristo la possibilità di essere perdonato.
Non sempre questa universalità dell’amore di Dio trova consenso: qualcuno pretende un amore di predilezione, altri di elezione, altri di ricompensa; c’è persino chi tenta di spiegare teologicamente che l’amore di Cristo è per molti ma non per tutti confondendo la disponibilità del donatore con l’accoglienza del ricevente. Quale scandalo, per qualcuno, pensare che il Signore possa spezzare il Suo amore infinito e versare Suo il sangue proprio per tutti, senza riserve. Ma anche quale errore facciamo a volte, di pensare Dio piccolo e limitato come noi invece di dilatare il nostro cuore sulla misura del Suo.
Sì, fratelli e sorelle, quei suoi che sono nel mondo – e sappiamo che il mondo per Giovanni indica proprio l’umanità avversa alla presenza di Dio – sono tutti gli uomini ai quali il Figlio di Dio desidera lavare i piedi e servire la salvezza. In quei dodici Apostoli che hanno il privilegio di vedere lavati i loro piedi dal Verbo incarnato, è rappresentata tutta l’umanità, senza eccezione.
Li amò sino alla fine: la spiegazione completa di questo amore fedele e incondizionato l’ascolteremo domani nel racconto della passione e quello che oggi è detto da Gesù nel cenacolo di Gerusalemme attraverso parole e segni simbolici, quale il pane spezzato e la lavanda dei piedi, domani troverà compimento nella sua morte di croce, quando tutto sarà compiuto e la separazione tra il Cielo e la terra generata dal peccato sarà riconciliata dal sacrificio di Cristo.
Ai suoi apostoli e attraverso di loro a tutta la Chiesa è riservato un solo privilegio: seguire le orme del Maestro. “Se io che sono il Signore e il Maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri: vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”. Ecco l’unico privilegio che abbiamo se davvero ci mettiamo alla scuola del Vangelo: seguire le orme del Maestro lavandoci i piedi gli uni gli altri, vivere per il Suo stesso, il Regno; avere la Sua stessa passione per l’umanità e lo stesso desiderio che tutti gli uomini siano salvi.
Purtroppo quando questo privilegio viene sporcato da altri interessi allora la comunità cristiana comincia il suo declino e se anche dice di essere credente e celebra i sacramenti della fede, non è più né credibile e neanche creduta.
Forse proprio per questo al giovedì santo si fa anche memoria del dono del Comandamento Nuovo. Se la comunità cristiana nasce attorno alla mensa eucaristica, se essa si nutre del santissimo Corpo di Cristo istituito dal Signore nel cenacolo, spinti dalla sua carità, essa non deve mai dimenticare che solo nell’amore vicendevole sperimenterà pienezza di vita.
L’Apostolo Paolo nella stessa lettera in cui racconta l’istituzione dell’Eucarestia, ha parole di fuoco per esortare la comunità di Corinto all’unità del Corpo ecclesiale fino ad ammonire: coloro che mangiano il Corpo di Cristo agitato dall’odio, dalla discordia, dalla maldicenza, dall’invidia, dalla gelosia, mangiano la loro condanna.
Mi risuonano nella mente le parole di san Giovanni Paolo II quando, con coraggiosa chiarezza scrive: “Non possiamo illuderci: dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno, saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr. Gv.13,35 e Mt.25,31-46). E’ questo il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche. (MND,28).
Fratelli e sorelle, questo nostro mondo così ferito dalla malvagità umana, tempesta non da una guerra soltanto alla quale facciamo particolarmente attenzione per le conseguenze che può avere sulla nostra pelle, ma da ben 59 conflitti che nel mondo seminano sofferenza e morte, ha bisogno di Cristo e del suo Vangelo, ha bisogno di una pace che non sia solo il compromesso per una tollerabile convivenza ma il frutto di uno sguardo nuovo che riconosce in ogni uomo il volto stesso di Dio, la sua dignità incondizionata e il suo destino di eternità. E noi abbiamo il dovere di annunciare l’Amore che salva non con le parole che ormai pochi o nessuno ascolta più, ma con la testimonianza della carità vicendevole, del perdono generoso, del rispetto incondizionato, della verità accolta e vissuta.
Nessuno di noi ha la responsabilità di sedere al tavolo dei potenti, ma tutti noi abbiamo la possibilità di lavarci i piedi gli uni gli altri; ed questo che è gradito al Signore. Forse non ci è chiesto di andare a Kiev a trattare la Pace, ma certamente ci è chiesto di essere artigiani della pace e costruttori di comunione là dove viviamo. Mentre ricordiamo le nostre due sorelle che in Etiopia vivono in mezzo ad una guerra non meno crudele di quella ucraina e diciamo loro che non sono sole e che la Piccola Casa è con loro a seminare Pace e misericordia, ascoltiamo la voce del Signore che ci invita a mangiare il pane dell’unità perché trasformati in Cristo e resi partecipi della natura divina, possiamo essere insieme là dove viviamo ogni giorno, nella concretezza del quotidiano, cellule sane di comunione vissuta per guarire il cancro dell’inimicizia. Facciamo nostre le parole di san Paolo VI pronunciate in occasione delle festa del Corpus Domini del 1965: “L’Eucarestia è istituita perché diventiamo fratelli; … perché da estranei, dispersi e indifferenti gli uni gli altri, noi diventiamo uniti, eguali ed amici; è a noi data perché da massa apatica, egoista, gente fra sé divisa e avversaria, noi diventiamo un popolo, un vero popolo, credente ed amoroso, di un cuor solo e un’anima sola Ripetiamo le sante e celebri esclamazioni: “O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum caritatis!”.
Fratelli e sorelle carissime, esortati dal nostro Fondatore che voleva la Piccola Casa viva attorno a Gesù Eucarestia perché “da essa aveva avuto cominciamento”, riconoscenti per aver avuto la grazia di appartenere a quest’Opera di Dio, chiediamo al Signore la grazia di vivere con autenticità le nostre celebrazioni eucaristiche. Ogni volta che ci accostiamo all’altare del Signore abbiamo la grazia di comunicare al suo vero Corpo; la comunione con Lui, scrive san Tommaso d’Aquino, ha la potenza di trasformare l’uomo in Dio, ma del vero Dio, quel Dio che avendo amato i suoi che sono nel mondo sino alla fine, per loro si è umiliato fino alla morte e alla morte di croce.
Possa il Signore benedetto farci la grazia di usare le nostre energie per asciugare le lacrime e mai provocarle, per consolare gli afflitti e non generare solitudini, per essere apostoli dell’unità e mai causa di divisioni. E se qualche volta ci accorgiamo che i nostri passi stanno deviando, con fiducia nella misericordia di Dio e con coraggio, dopo aver chiesto umilmente perdono a Dio e ai fratelli, torniamo a percorrere quella strada su cui ha camminato Cristo che volendo che tutti siano una cosa sola in Lui ha accettato di essere innalzato da terra!
Possa il Signore benedetto guardare con compiacenza alla Piccola Casa come ad una cittadella della carità vicendevole che annuncia la gioia del vangelo a quanti la incontrano e la bellezze di Dio misericordioso e salvatore. Amen!
Padre Carmine Arice