Pubblichiamo l’omelia che il Padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha pronunciato nella Messa della Notte di Natale la sera di venerdì 24 dicembre 2021 al Cottolengo di Torino.
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Così hanno cantato l’angelo e la moltitudine celeste; così canta la Chiesa e così cantiamo anche noi in questa notte santa nella quale celebriamo la nascita del nostro Salvatore, Gesù Cristo.
Gloria a quel Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, fragile tenerezza di un infante appena nato, perché quel Bambino è Dio, ”immagine del Dio invisibile per mezzo del quale furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili”; quel Bambino nato nella povertà di una stalla non sarà solo un grande profeta che proferirà parole di sapienza umana o divinamente ispirate, ma è egli stesso Dio. Ha scritto un noto teologo: “Tutti vogliono crescere; ogni bambino desidera diventare grande; ogni uomo desidera diventare un re; ogni re vuole diventare un “dio”; solo Dio vuole diventare bambino” (L. Boff).
Come non stupirci di fronte a un mistero d’amore così grande? Come non restare sorpresi nel contemplare il nostro Dio che, sorprendendo ogni sapienza umana e previsione – anche quella degli stessi profeti – viene a noi nella fragilità della nostra condizione, umiliando sé stesso nella maniera più radicale e sorprendente che si potesse immaginare.
Tutta la vita del Dio fatto uomo sarà una sorpresa perché il suo posto sarà sempre in fila con i peccatori a chiedere un battesimo di penitenza, vicino ai malati – soprattutto quelli esclusi come i lebbrosi – a curarli e guarirli anche in giorno di sabato, inginocchiato come uno schiavo per lavare i piedi a color che fuggiranno impauriti di fronte alla prova, prostrato a terra di fronte al Padre per chiedere il dono dello Spirito, crocifisso tra due ladroni come un malfattore, condividendo la morte dei maledetti.
E anche dopo la sua morte, sempre, chi vorrà incontrarlo dovrà umiliarsi e cercarlo tra gli affamati, gli assetati, i forestieri, le persone nude, i malati, i carcerati perché sono loro, in ogni tempo, la carne sofferente di Cristo; e con la stessa umile e sincera fede potrà riconoscerlo anche nella fragile vulnerabilità di un pezzo di pane, che per il dono del suo Spirito, è il suo vero Corpo.
Nato nella casa di Betlemme, città del pane, deposto in una mangiatoria dove le creature più semplici – gli animali – siamo sorpresi dalla sua divina fantasia che trova il modo di farsi nostro nutrimento rendendosi Presente nella semplicità del pane eucaristico.
E quando per la carità vicendevole, coloro che lo riconoscono Signore saranno uniti nel suo nome, la gioia di Gesù sarà ancora quella di essere presente in mezzo a loro per illuminare, fortificare, unire, e continuare ancora oggi ad amare l’umanità.
Cari Fratelli e Sorelle se cerchiamo Dio altrove difficilmente lo troveremo; se lo cerchiamo nelle stanze dei potenti di questo mondo o secondo le logiche di questo mondo, perderemo tempo; se lo cerchiamo fuori dalla logica del Dio Bambino che per amare declina il verbo discendere e viene nella vulnerabile esistenza umana fino scendere negli inferi dell’umanità, magari troveremo tristemente noi stessi, forse gusteremo qualche transitoria soddisfazione umana, ma difficilmente troveremo Dio.
Lo aveva capito bene san Giuseppe Cottolengo quando, per divina ispirazione, ha fondato questa Casa benedetta che, senza alcun merito, abbiamo l’onore di abitare. Forse, se fosse oggi qui presente, il santo della carità ci ricorderebbe che la Piccola Casa della Divina Provvidenza sarà sempre gradita a Dio e sarà feconda nella sua opera di evangelizzazione sempre e solo nella misura in cui vivrà la logica del Dio Bambino. Qui, come nella mangiatoia di Betlemme, possiamo trovare la carne stessa di Cristo, e dai piccoli ricevere la grazia di fare comunione con Colui che è venuto su questa terra per salvare il mondo.
Gli angeli cantano: Pace in terra agli uomini amati dal Signore.
La Pace è il dono natalizio per eccellenza. Sappiamo bene che, secondo le Scritture, la Pace non è solo assenza di guerra o di litigio; non è nemmeno il risultato di un’organizzazione ben pensata capace di esprimere democratiche opinioni utili a mantenere una certa calma sociale. Siamo ben lontani dall’esperienza della Pace come è stata intesa e sperimentata dal cantore per eccellenza del mistero del Natale, san Francesco d’Assisi, il quale augurava a quanti incontrava Pace e bene.
La Pace che ci dona il Bambino di Betlemme nasce nel cuore di chi vive in comunione con il Principe della Pace, una comunione dalla quale scaturiscono gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Per questo ciò che minaccia questa Pace non è la guerra ma la superbia; non sono i colpi di fucile ma la mancanza di amore; non è la persecuzione per causa della giustizia, ma il vendere il nostro cuore a qualcosa che è meno di Dio e del suo vangelo; ciò che minaccia la Pace che ci dona il bambino di Betlemme è sprecare la vita nella ricerca di beni che annebbiano il vero Bene; ciò che minaccia la Pace è dimenticare la bellezza del verbo discendere come declinazione del verbo amare e rincorrere il verbo salire come declinazione del verbo potere; ciò che minaccia la Pace è aver perso il gusto del dono gratuito, libero e generoso della nostra vita; ciò che minaccia la Pace è smettere di lottare perché in noi la grazia di Dio possa vincere il peccato; ciò che minaccia la Pace è l’incapacità di vedere in ogni uomo un fratello e non un temibile avversario.
Quel Bambino di Betlemme, Fratelli e Sorelle nel Signore, è Dio stesso che si inginocchia di fronte all’umanità per convincerlo a percorrere la via della bellezza, della verità, della libertà e della vita perché per Lui è insopportabile che i suoi Figli vivano nella tristezza. Sì, in Gesù Bambino, Dio si inginocchia di fronte all’umanità perché il timore sia vinto dall’amore e si convinca del desiderio che Egli ha di essere collaboratore della nostra gioia.
Quel Bambino nato a Betlemme e deposto in una mangiatoia, in questa notte Santa, ci invita a riconoscerlo come nostro Salvatore e, condividendo la sua stessa vita e la stessa via della piccolezza, chiede anche noi ad essere pane per i nostri fratelli perché questa è l’unica via per gustare la Pace che viene dal Cielo.
In questi giorni regaliamoci del tempo per stare davanti al presepe; permettiamo a Dio di riempirci il cuore del grande mistero che questa notte celebriamo; Maria la Madre di Gesù e san Giuseppe suo sposo ci donino lo stupore del loro sguardo, l’umiltà del loro spirito e l’obbedienza della loro fede.
Padre Carmine Arice