Il 20 giugno la celebrazione presieduta da Padre Arice
Padre Carmine Arice domenica 20 giugno alle 7, nella festa della Consolata, ha presieduto nel santuario torinese la Messa per la Piccola Casa della Divina Provvidenza. Hanno concelebrato diversi sacerdoti cottolenghini fra cui il novello prete don Alessandro Koch. Di seguito pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata dal Padre generale.
“Consolati da Dio, consoliamo quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” (cfr. 2Cor 1,3-7)
Cari fratelli e sorelle,
siamo venuti pellegrini nella casa di Maria, nel santuario più caro al popolo di Dio che è in Torino, per ringraziare, lasciarci raggiungere e consolare dallo sguardo materno della Vergine e intercedere per noi e per i nostri fratelli e sorelle il dono dello Spirito Santo Consolatore.
Sono tre atteggiamenti, questi, che nella pluriennale storia di questo Santuario, sono stati presenti nel cuore di umili devoti come di grandi santi. Sappiamo bene che questo luogo è stato culla per i numerosi fondatori e fondatrici di famiglie religiose con cui è stato benedetto Torino e il Piemonte, basta ricordare per tutti il Beato Giuseppe Allamano e la grande famiglia dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. O il santo Cottolengo stesso, che sovente fuggiva dai suoi numerosi impegni per la nascente opera, la Piccola Casa, e si nascondeva tra le colonne e la balaustra per isolarsi un po’ e pregare, chiedendo la consolazione dello Spirito, la sua ispirazione e la protezione della Madre. E da quanto egli stesso ci testimonia, sempre, in questo cuore di Madre, ha trovato risposta.
Ma ancora oggi, per una grazia speciale che è legata a questo luogo, qui molti cuori si aprono a Dio e, per intercessione di Maria, trovano consolazione e ispirazione per una vita più autenticamente cristiana. Possiamo immaginare quante lacrime ha asciugato la Vergine Consolata e quante preghiere ha raccolto in questo tempo così difficile di pandemia.
Il nostro pellegrinare di oggi è anche un ringraziamento al Signore per il dono della fede con il quale ha dato lo sguardo necessario per vivere con frutto spirituale queste terribili giornate, fiduciosi nel suo amore misericordioso che conosce solo strade di bene, di provvidenziale amore e salvezza; ringraziamo per il dono della carità di tanti operatori della cura che si sono prodigati senza risparmiarsi per quanti erano nel bisogno; ringraziamo per la virtù della speranza cristiana capace di dare senso possibile e sostegno anche alle notti più oscure. Per tutto questo oggi e sempre, benediciamo il Signore e cantiamo Deo gratias!
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a guardare a Maria, la Vergine consolata e consolatrice, non solo per riconoscere in lei il privilegio della divina maternità, ma soprattutto per scrutare in lei quello stile di vita evangelica, di discepola del Signore che l’ha distinta con ineguagliabile bellezza e santità. Per il cuore indiviso con cui ha amato il Signore e per la sua docilità alla Parola di Dio e alla missione, Maria è l’icona eccellente della vita cristiana e consacrata alla quale guardiamo per imitarla con amore filiale. A lei guarda quotidianamente tutta la famiglia cottolenghina e potrai guardarla anche tu, caro don Alessandro, per imitarla nelle sue virtù, come amava ripetere il nostro Fondatore.
Non sappiamo se sia stato più l’amore di Madre o quella discepola a dare a Maria la forza della fedeltà fino ai piedi della croce. Il Vangelo non ce lo dice, ma ci mostra la Vergine dritta, accanto al suo Figlio a consolare con la sua presenza l’ora del compimento. In questa icona evangelica troviamo spiegato, con speciale eloquenza, il ministero della consolazione! Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa, e ci stava anche quando non era ormai possibile fare altro che condividere la passione dell’amato. Nella Stabat di Maria possiamo intravvedere la missione della Chiesa, chiamata ad abitare i luoghi dell’umano per essere testimoni della Presenza stessa di Dio che ama per primo e senza condizioni.
Di consolazione, cari fratelli e sorelle, ne abbiamo bisogno tutti e ne abbiamo bisogno ogni giorno; la solitudine non è per l’uomo il quale è stato generato dalla comunione e per la comunione. Ma sono soprattutto gli afflitti ad avere bisogno di consolazione. Quando si soffre, il bisogno di consolazione diventa immenso. Se il dolore isola e la sofferenza morde tenacemente la vita, la presenza di chi ama rende meno insopportabile la notte. Non si tratta di dire tante parole, anzi, in certe situazioni la parola è fastidiosa e fuori luogo. Maria ai piedi della croce non parla! E non si tratta nemmeno di fare miracoli perché le cose cambino radicalmente, cosa che il più delle volte è impossibile. Consolare un morente non significa assicurargli che la sua morte sarà evitata, ma abitare quello spazio che separa la sua solitudine – e a volte la sua disperazione – con una mano che stringe forte la sua fino all’ultimo respiro, perché non sia solo.
La pagina di Vangelo ascoltata ci aiuta a far memoria della missione più alta alla quale siamo chiamati come Chiesa: stare in mezzo alla gente, accanto ai crocifissi del nostro tempo per essere sacramento della Presenza del Signore. La credibilità di ogni parola pronunciata da una comunità cristiana, sarà proporzionata alla sua capacità di abitare la strada come la casa di chi continua ancora oggi la passione di Cristo Crocifisso.
La Vergine Consolata ai piedi della croce ci mostra quanto sia necessario consolare. L’uomo, infatti, non ha solo bisogno di pane, di vestiti, di cure mediche, di una terra che accolga il suo desiderio di vita. Con il pane, il vestito, la salute, la casa e la terra l’uomo ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di compagnia. E allora la consolazione diventa l’esperienza di essere ancora importanti per qualcuno, l’occasione di sperimentare che la vita, per quanto fragile e compromessa sia, ha ancora una dignità.
Per questo la morte in solitudine di tanti nostri fratelli e sorelle, in questo tempo di pandemia è stata una sofferenza grande e atroce.
Cari fratelli e sorelle così ci ha guardati Dio quando ha mandato a noi la Sua consolazione, Cristo Gesù. La sua consolazione, infatti, non è stato un teorico pensiero a nostro favore o una dichiarazione d’amore fatta a parole; la sua consolazione ha acquistato il volto umano del Suo Figlio che è venuto a condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. E scendendo negli inferi degli uomini, ha preso per mano ogni sorta di umana sofferenza per donare la pienezza di ogni consolazione: la salvezza.
Ecco perché l’Apostolo nella seconda lettura ci ha esortato a consolare “quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” con la stessa consolazione con cui siamo stati consolati noi stessi da Dio.
Se ripercorriamo le pagine del Vangelo nelle quali si narra la vita di Maria troveremo poche parole, nulla di straordinario, ma sempre una vita condivisa, con il suo popolo, con il Figlio, con gli Apostoli in attesa dello Spirito Santo. Guardando a lei il Signore ci doni di essere ministri di consolazione perché, come ci insegna papa Francesco concludendo la splendida enciclica Fratelli Tutti: “Come cristiani non possiamo nascondere che «se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna».
Consolare significa continuare a far vibrare nelle nostre viscere la musica del Vangelo.
Padre Carmine Arice