Pubblichiamo l’editoriale che il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha scritto per l’edizione speciale della rivista «Sanità 4.0», di FederSanità – Anci, intitolata «Monografia Covid-19, esperienze delle Federazioni regionali».
Analisi e contro analisi, tesi e contro tesi sulle cause, previsioni da quelle più catastrofiche a quelle più ottimistiche: ecco la cronaca al tempo del coronavirus.
Qualcuno ha addirittura azzardato a parlare di castigo divino, dimostrando di non conoscere le Scritture dove ci viene rivelato un Dio che prende su di sé il male per eliminarlo e non lo usa mai come una clava per far soffrire quelle Creature per le quali ha donato senza riserve ciò che aveva di più caro: il suo Figlio.
Il pericolo di un castigo c’è e sarà se, una volta terminata la pandemia, tutto tornerà come prima perché sarà stata vana la morte di tanti e la sofferenza di milioni di persone, per non dire miliardi, se non sapremo investire e convertire armamenti in ricerca, «navi da crociera» in ospedali, la logica del profitto in politica seria con una vera ricerca del bene comune, una vita senza senso in orientamenti esistenziali autentici capaci di significati che reggono, come casa fondata sulla roccia, anche la tempesta più violenta. Il castigo, però, lo potremo evitare se finalmente sapremo guardare in faccia ogni persona e giudicarla degna di vita prima del suo bisogno, della sua condizione, del suo costo, delle sue possibilità e prestazioni, sia essa anziana che persona disabile o con una salute mentale precaria, categorie queste a rischio di estinzione per sola volontà umana; il castigo lo potremo evitare se il riferimento identitario non sarà solo quello economico o di prestazione!
Mentre facciamo tante analisi sul Covid-19 oggi, è utile mettere le premesse perché tutto quello che è successo e sta ancora succedendo sia davvero una scuola di sapienza. «Siamo tutti sulla stessa barca», ha detto Papa Francesco, nel bene e nel male, e questo non solo perché il virus non conosce barriere, status sociale, portafoglio finanziario o cariche, ma perché – come capita sovente – un acuto momento di crisi e di sofferenza fa verità e rivela ciò che veramente siamo, un unico corpo sociale per il quale la salute di un membro non esula dalla ricerca di salute dell’intero corpo. Nei prossimi mesi, anzi, nei prossimi giorni dovremo affrontare situazioni così complesse sia sul piano economico che di emergenza sociale e sanitaria che, se non saranno considerate come si deve, assisteremo a storie altrettanto drammatiche come quelle vissute in quasi trentamila case di italiani che hanno fatto i conti con la morte.
E allora sì che sarà un castigo sociale perché avremo dimostrato l’inutilità del patire di innocenti e il sacrificio di vite umane – penso in particolare a quello di operatori sanitari, medici, infermieri e addetti all’assistenza. Se questa tragedia non ha educato la nostra coscienza il rischio di ritornare ai criteri avuti fino al 23 febbraio 2020 è reale.
Quando la letteratura scientifica, per esempio, ci indica le categorie più a rischio tra quelle che in qualche modo hanno vissuto l’esperienza del coronavirus per le conseguenze di carattere psicopatologico – operatori sanitari, sopravvissuti alla rianimazione e parenti delle persone decedute – non ci parla di numeri o di casi utili alla statistica ma di storie concrete, di persone che vedranno la depressione, l’ansia, atteggiamenti autolesivi, sindrome ossessiva caratterizzare il resto della loro vita. Questa volta dobbiamo davvero rimboccarci le maniche altrimenti il coronavirus sarà stato davvero un inutile castigo e se i giornalisti cercano storie da raccontare per attirare l’attenzione, gli uomini con un po’ di coscienza cominceranno a mettere dietro al caso clinico un nome, dietro al bisogno esistenziale una persona, dietro ad un corpo anonimo una dignità da tutelare. Se è vero che nessuno ha la bacchetta magica per affrontare la situazione, non possiamo però esimerci da un impegno morale, se di morale si può ancora parlare: nessuno sia lasciato solo!
Quando penso al fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza e alla sua storia rimango impressionato dalla sua strategia solidaristica ed evangelica. Per il Cottolengo non c’era persona bisognosa che gli passasse accanto lasciandolo nell’indifferenza. Non andava a cercare i poveri ma cominciava a prendersi cura di quelli che incontrava senza voltare la testa dall’altra parte; senza avere la pretesa di risolvere il problema dell’ingiustizia sociale o delle carenze sanitarie del suo tempo; il prete torinese ha guardato in faccia i malcapitati che incontrava e gli ha offerto pane, casa, cura e senso. A noi ora fare la nostra parte, altrimenti il coronavirus sarà un castigo di uomini verso altri uomini.
Don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza – Cottolengo