La celebrazione della Passione del Signore nella Piccola Casa di Torino
Venerdì Santo, 10 aprile, il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha presieduto la liturgia “In Passione Domini” nella chiesa Grande del Cottolengo di Torino, vuota in ottemperanza alle misure anticontagio a contrasto del coronavirus. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da padre Arice.
Cari fratelli e sorelle, in modo particolare cari ospiti e ammalati,
oggi, Venerdì Santo vorrei farmi voce di una domanda che ricorre sovente in questi giorni: che senso ha tutto quello che ci sta succedendo? È la stessa domanda che ci facciamo quando siamo di fronte al dolore di una persona cara, soprattutto se innocente! Penso che nessuno possa azzardare una risposta convincente a questo perché e non lo ha fatto nemmeno Gesù nei vangeli, Lui che è la sapienza del Padre.
Sappiamo per certo, però, una cosa: Dio non ama la sofferenza umana, e se Egli non soffre per natura, sempre soffre per partecipazione, proprio come una mamma soffre al vedere il figlio malato in un letto di ospedale.
La croce di Cristo che oggi solennemente adoriamo ci dice proprio questa verità: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”. Questa lunga sofferenza dell’umanità ci sta purificando, ci sta aiutando a fare discernimento tra il vero e il falso, tra l’amore e l’odio, tra ciò che costruisce e ciò che distrugge. Ma la sofferenza di questi giorni ci sta anche aiutando a comprendere in modo nuovo quanto sia grande l’amore di Dio per noi, fino a che punto siamo amati, Lui che è morto crocifisso proprio perché tutti gli uomini siano liberati dal peccato e dalle sue conseguenze.
Sì, “Tutto si impara ai piedi della croce” – come amava ripetere il Cottolengo, tutto si impara da quella cattedra divina dove ci viene rivelato cosa significa amare “sino alla fine”. In quell’unico venerdì santo dove si raccolgono tutte le sofferenze dell’umanità le distanze appaiono tanto estreme quanto vicine: la colpa e l’innocenza, il tradimento e la grazia, l’offesa e il perdono, la lontananza e la vicinanza, l’umanità peccatrice e la divinità redentrice, l’abbandono e la prossimità, la vita e la morte, e persino la tristezza e la gioia si affrontano in un duello che avrà la sua conclusione la mattina di Pasqua.
Tutto si impara ai piedi della croce perché lì comprendiamo che Dio non vuole la morte di nessuno e che proprio per questo Egli ha preso su di sé il peccato dell’uomo fino ad essere crocifisso come un maledetto, perché maledetti sono coloro che pendono dalla croce, ricordano le Scritture!
Cari amici, la risposta di Gesù alla domanda di senso della sofferenza umana non è un dire, non è una teoria, ma un agire che lo ha portato a lottare e vincere ogni nemico dell’umanità, ultimo dei quali la morte. La domanda di quel “perché” causale della sofferenza di cui parlavo all’inizio, dal suo amore è stato trasformato in un perché finale: perché tutti siano salvi!
In questo Venerdì Santo vorrei condividere con voi le parole di una mistica del nostro tempo, la serva di Dio Chiara Lubich, la quale di fronte al mistero di Cristo crocifisso che sperimenta, umanamente, l’abbandono del Padre e constatando il dolore dell’umanità così si esprime:
“Ci sarebbe da morire se non guardassimo a Te, mio Amore che tramuti, come per incanto, ogni amarezza in dolcezza: a Te, sulla croce nel tuo Grido, nella più alta sospensione, nella inattività assoluta, nella morte viva, quando, fatto freddo, buttasti tutto il tuo Fuoco sulla terra e, fatto stasi infinita, gettasti la tua vita infinita a noi, che ora la viviamo nell’ebbrezza.
E ciò mi basta: vedermi simile a Te, almeno un poco, e unire il mio dolore al tuo e offrirlo al Padre e restar certa che mai – come in queste ore – tanta Luce cammina in questo mondo e tanto Fuoco.
Perché avessimo la Luce, ti facesti cieco.
Perché avessimo l’unione, provasti la separazione dal Padre.
Perché possedessimo la Sapienza, ti facesti “ignoranza”.
Perché ci rivestissimo dell’innocenza, ti facesti “peccato”.
Perché Dio fosse in noi, lo provasti lontano da Te.
Perché fosse nostro il Cielo sentisti l’Inferno.
Per darci un lieto soggiorno sulla terra, tra cento fratelli e più, fosti estromesso dal Cielo e dalla terra, dagli uomini e dalla natura.
Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio di amore infinito.
Cari fratelli e sorelle,
proviamo a ripetere nella fede anche noi: “Ci basta Signore vederci simili a Te”, proviamo con l’aiuto di Dio a non sprecare nessuna di quelle lacrime che in questi gironi scendono abbondanti su tanti volti, ma unirle alle sue per la salvezza del mondo. Lui innocente, noi peccatori, insieme possiamo far sì che questo tremendo Venerdì Santo dell’umanità non sia sprecato ma diventi via a quella Resurrezione definitiva che Dio vuole donare a tutti gli uomini.
Abbiamo una maestra, la Madre di Dio! Come non vedere in Lei tutti coloro che stanno vicini ai crocifissi del nostro tempo, i tanti operatori della cura e della salute che hanno dato letteralmente la loro vita! Come non vedere in questa icona la Piccola Casa e la sua missione!
Stabat mater dolorosa, impotente, come tante volte capita anche a noi, ma presente fino a quando il Figlio dirà: “Tutto è compiuto!”. Madre di Dio e madre nostra: intercedi per noi perché Dio aumenti la nostra fede, fortifichi la nostra Speranza e ci renda partecipi della sua carità. Amen!
Padre Carmine Arice