La Messa in Coena Domini nella Piccola Casa di Torino
Giovedì Santo, 9 aprile, il padre generale della Piccola Casa, don Carmine Arice, ha presieduto la Messa in Coena Domini nella chiesa Grande del Cottolengo di Torino, vuota in ottemperanza alle misure anticontagio a contrasto del coronavirus. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da padre Arice.
Cari fratelli e sorelle,
celebro questa Messa “in Coena Domini” in una Chiesa Grande apparentemente vuota! Sì, solo apparentemente, perché mai come in questi giorni si è sentita forte la presenza e la vicinanza di tutta la famiglia carismatica cottolenghina sparsa nel mondo, sacerdoti e religiosi, religiose e laici, pur non potendo essere fisicamente insieme. In Cristo Risorto, vivo, veramente presente nell’Eucarestia, sacramento di unità e vincolo di carità, davvero siamo “Molti un sol Corpo”, nella Piccola Casa e nella Chiesa.
Saluto i religiosi e le religiose: so quanto vi costa, oggi, magari per la prima volta da quando avete consacrato la vostra vita al Signore, non poter partecipare fisicamente al triduo pasquale in una Chiesa. Una rinuncia sofferta proporzionata all’amore per Colui che dà senso alla vostra vita: anche questo portiamo oggi all’altare.
Saluto gli ospiti e i malati: l’Eucarestia è farmaco di immortalità, canta la Chiesa! Infatti Gesù ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Sì, la vita su questa terra può anche concludersi, speriamo senza troppe sofferenze, ma la vita in Dio, la vita di coloro che si sono nutriti del pane eucaristico, quella no! E’ per sempre e lo è perché siamo stati resi partecipi della natura divina, come ricorda l’apostolo Pietro.
Con voi, cari ospiti e malati, saluto gli operatori sanitari e dell’assistenza e tutti coloro che sono parte della vita della Piccola Casa mediante il loro lavoro. Grazie per la vostra presenza anche in questi giorni così difficili.
Ma permettetemi oggi di rivolgere un particolare saluto, e una parola carica di affetto e riconoscenza ai sacerdoti nel giorno in cui ricordiamo il grande dono che, senza merito, abbiamo ricevuto dal Signore: essere ministri di Dio, partecipi della missione pastorale della Chiesa. Per voi cari Confratelli, in particolare a don Pasquale Schiavulli, a don Paolo Boggio e a don Francesco Gemello, va la nostra preghiera; per tutti la riconoscenza della Piccola Casa e della Chiesa per il vostro generoso ministero.
Cari Confratelli sappiamo bene che siamo preti non solo perché celebriamo i sacramenti o l’ufficio divino per il quale ci siamo impegnati davanti a Dio e al suo popolo; siamo preti sempre, perché lo siamo nella nostra carne per quell’unzione crismale che ci ha radicalmente cristificati nel sacerdozio e per la quale ogni nostra azione è sacerdotale. Non importa il servizio che ci viene chiesto e, per grazia di Dio, non importa nemmeno se la salute ci permette un ministero operativo, perché sappiamo che, se lo vogliamo, sempre siamo conformi al Buon Pastore e per l’amicizia con Lui sempre possiamo dare la vita per il Suo gregge e per tutta l’umanità.
La dimensione sacerdotale nella vita del presbitero non conosce spazi riservati e dedicati, ma in tutta l’esistenza ci è chiesto di portare gli uomini a Dio e Dio agli uomini. Questo non è sempre facile e sapere che anche Giuda, il traditore, era un apostolo ci fa tremare. Oggi è la giornata che guardando alla grandezza del dono ricevuto non possiamo non chiedere perdono al buon Dio per i nostri peccati e la nostra miseria – almeno io! – Per fortuna, però, non solo Giuda ma anche Pietro era un apostolo e la sua forza di ricominciare dopo aver rinnegato il Signore anche nelle ultime ore della sua vita, ci incoraggia e ci conforta.
Sono certo che non c’è nessuna norma che possa rendere fedele la nostra vita, ma l’amore! Guardare a Cristo, contemplarlo amore-crocifisso, fare nostri i suoi sentimenti, questo sì che può renderci fedeli, generosi e felici: fedeli agli impegni sacerdotali, generosi nella missione pastorale, gioiosi per un significato così grande che possiamo dare alla nostra vita.
La pagina evangelica che abbiamo ascoltato ci dice che la stola e il grembiule non possono mai essere disgiunti, che l’eucarestia celebrata non può mai essere disgiunta da una vita donata nel servizio ai fratelli anzitutto con la preghiera e l’offerta. Domenica scorsa papa Francesco ha ricordato che “una vita non serve se non si serve”. Intuiamo che questo comporta il dono di sé fino alla conformazione a Cristo crocifisso, ma intuiamo anche che solo da lì può giungere il senso di un’esistenza nella quale si arriva persino a rinunciare ad una sposa, ad avere dei figli, ad una famiglia naturale; solo da lì la fedeltà può giungere fino al martirio, ma anche sperimentare quella gioia che il Signore dona ai suoi amici.
Abbiamo un esempio: il cuore sacerdotale di san Giuseppe Cottolengo! Dalla sua passione pastorale, dall’ardore di annunciare in modo credibile l’Amore di Dio padre provvidente e il Vangelo di Gesù Cristo è nata la Piccola Casa. La sua generosità è stata mirabile come la sua fedeltà, fino a dare la vita contagiandosi nell’assistere i malati di tifo. Dov’era la sorgente di questo amore così generoso e fedele? Le continue esortazioni a vivere di buon conto con Dio e in unione con Lui non erano l’insegnamento di una dottrina ma la condivisione di un’esperienza, ecco perché i suoi detti così brevi e semplici sono tanto convincenti.
Oggi, cari fratelli e sorelle, facciamo memoria oltre che del dono del sacerdozio anche dell’istituzione dell’Eucarestia e del comandamento nuovo. Ogni volta che partecipiamo al banchetto eucaristico sentiamo ripetere: “Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”.
Questo è il mio Corpo per voi: la fedeltà a queste parole la contempleremo domani, venerdì santo; oggi gioiamo per il dono di poter avere sempre con noi la presenza sacramentale di Cristo! E come se il Maestro ci dicesse: non sei solo, ci sono, sono con te! Lo dice a tutti e lo dice in particolare a quanti in questi giorni lottano per vivere o far vivere. Anzi a loro, in modo particolare il Signore ricorda: non solo sono con te ma sono anche in te!
Grazie Gesù perché hai amato i tuoi fino alla fine, hai amato i tuoi facendoti uomo, hai amato il mondo facendoti pane, li hai amati fino alla croce. Sii benedetto e mentre cantiamo la nostra riconoscenza ti invochiamo: aumenta la nostra fede, fortifica la nostra speranza, rinvigorisci la nostra carità. Amen.
Padre Carmine Arice, ssc