Sabato 12 ottobre la Messa presieduta da padre Arice
Sabato 12 ottobre alla Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino grande festa per la Prima professione di suor Agnese Rondi, 27 anni.
La postulante Agnese Rondi è entrata a far parte della Congregazione delle suore del Cottolengo con la celebrazione eucaristica presieduta alle 15.30 in chiesa grande dal padre generale don Carmine Arice alla presenza della madre generale suor Elda Pezzuto. Hanno animato la Messa il coro delle suore del Cottolengo e il coro di una parrocchia di Cinisello Balsamo dove Agnese ha prestato servizio per alcuni mesi.
Nel corso del 2019 la Congregegazione delle suore di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, presente in diversi Paesi del mondo, si è arricchita di nuove suore: il 16 febbraio 2019 presso il monastero di Tuuru in Kenya hanno emesso la prima professsione sr. Kioko Agnes Mwikali e sr. Momanki Veronicah Sabina; il 15 maggio 2019 a Fort Cochin nello Stato del Kerala in India hanno emesso la prima professione sr. Arakkal Danimol, suor Mejeena Benjamine, Sr. Jasmine Valiyaveetil e sr. Subhita Panipichai.
Agnese fu chiamata per la prima volta alla Piccola Casa di Biella tre anni fa per affiancare come animatrice dell’oratorio della sua parrocchia le suore nell’animazione di una settimana comunitaria rivolta a giovani delle scuole superiori. Agnese aveva appena iniziato il corso di laurea magistrale al Politecnico di Torino e stava progettando di iniziare un percorso di doppia laurea con un’esperienza di studio di sei mesi a Nizza in Francia.
Suor Agnese cosa ti colpì durante la settimana comunitaria alla Piccola Casa di Biella?
Era la prima volta che venivo in contatto con una realtà cottolenghina. Fin dal primo giorno della settimana comunitaria fui colpita da una suora giovane che sapeva trasmettere la sua felicità e contagiare gli altri. Proprio con lei, mentre le ragazze andavano a scuola, ho iniziato a frequentare i reparti della Casa e ad incontrare gli ospiti uno ad uno. Si tratta di incontri che hanno suscitato una moltitudine di domande sulla mia vita tanto da non dormire di notte.
Cosa avvenne dopo quell’esperienza?
Tornata a casa mi dimenticai addirittura delle scadenze per firmare il contratto dell’Erasmus. Sono una persona molto precisa, ma ero rimasta «intontita» dai diversi momenti vissuti nella settimana comunitaria: la felicità che avevo visto nelle suore e provato di persona mi tornavano alla mente continuamente. Mi chiedevo dunque che significato avesse la vita che stavo costruendo con gli studi. Mi mancava poco per avere tutto ciò che chiede il nostro mondo: con due lauree al Politecnico avrei trovato un lavoro gratificante anche dal punto di vista economico, probabilmente avrei costruito una famiglia, eppure sentivo che mi mancava qualcosa.
Come hai reagito dunque?
Fui presa da un sentimento di paura. Decisi allora di incontrare un sacerdote di una parrocchia di Biella. Il prete, che era anche un medico, mi disse che avevo la sindrome «del perché no». Mi diceva: «hai sperimentato qualcosa di bello che ti ha reso felice e ti chiedi perché non potrebbe essere proprio questa scelta a renderti davvero felice?». Iniziai dunque un cammino di discernimento seguita dal prete biellese e dalla giovane suora incontrata a Biella.
Ma era imminente la partenza per l’Erasmus. Cosa hai scelto di fare?
Dovevo finire l’università, volevo portare a termine gli anni di studi. Quindi decisi di partire. Certamente sono stati mesi molto costruttivi per la mia crescita umana in quanto, lasciata la mia famiglia, dovevo cavarmela da sola.
In quei mesi hai proseguito il tuo percorso di discernimento?
Sì ogni mese e mezzo tornavo a Biella per proseguire il mio cammino incontrando il sacerdote e la suora. Mi rendevo conto che quello era il piano per la mia vita ma allo stesso tempo cercavo di fuggire, di non pensarci e di rimandare la scelta concentrandomi sullo studio e sulla nuova vita in Francia con i miei coetanei. Ma ormai Dio aveva messo lo «zampino» sulla mia vita.
In che senso?
Un giorno stavo passeggiando a Nizza con i miei compagni di studio quando ci ritrovammo nel mezzo di una festa cittadina. All’improvviso una persona disabile in carrozzina mi venne incontro invitandomi a ballare con lui. Era un po’ come se il Signore mi stesse dicendo «guarda che puoi scappare finché vuoi ma io ci sono». Allora anche dopo quel momento mi domandai: «perché devo lasciarmi scappare la possibilità di vivere la gioia piena, che avevo sperimentato?».
Allora dissi il mio «sì» a me e al Signore: «mi arrendo, ma ora dammi la forza di affrontare tutte le difficoltà che mi attendono».
Quali furono?
Ero arrivata quasi al culmine del mio percorso di studio e alla realizzazione di ciò per cui mi ero impegnata in tanti anni. Condividere questa scelta con la mia famiglia non era un’impresa facile.
Come è andata?
In primo luogo devo dire che la mia famiglia (papà, mamma e due fratelli) è stata fondamentale nella maturazione della mia vocazione. I miei genitori hanno cresciuto i loro figli come persone responsabili, capaci di scegliere nella liberà in quanto amati. Per loro indubbiamente è stato difficile all’inizio accogliere questa mia scelta. Iniziai i tre anni di discernimento che sono stati occasione per rinsaldare ancora di più il legame profondo con la mia famiglia. Ad oggi il tempo in cui stiamo insieme è poco, ma come dice mia madre abbiamo imparato a vivere il tempo dell’eternità dove condividiamo ciò che è veramente importante.
In questi anni hai iniziato il cammino in una nuova famiglia, cosa vuol dire per te far parte della famiglia carismatica cottolenghina?
Quello che mi colpisce della Piccola Casa è proprio il fatto di essere una casa. Una suora mi disse che la Piccola Casa della Divina Provvidenza è la dimora di tutte le persone che stanno cercando una casa. Ho dunque sperimentato un luogo che all’interno della Chiesa accoglie davvero tutti, sia le povertà fisiche che quelle interiori ed esistenziali. La vita comunitaria mi aiuta ad assaporare la mia chiamata ed ad essere fedele ogni giorno in questa scelta. Faccio un esempio, senza la mia comunità probabilmente non riuscirei ad alzarmi alle 5 e un quarto del mattino per pregare! La nostra è una famiglia composta da tante membra che costituiscono un solo corpo: per me le suore, i fratelli, i sacerdoti, i laici e gli ospiti sono veramente la mia famiglia: una ricchezza che mi fa assaporare come pur nella diversità si riesce a fare comunione e camminare insieme alla sequela del Signore come nel servizio ai poveri, come ha saputo fare il santo Cottolengo».
Dalla tua esperienza cosa diresti alle tue coetanee che si preparano alla vita adulta?
Non abbiate paura di rischiare di dare un senso vero alla vostra vita. Ben vengano i raggiungimenti degli obiettivi di studio, di lavoro per una stabilità economica ed affettiva, però consiglio ai giovani di non smettere di cercare il senso di ciò che si fa.
«Scegli dunque la vita!» È la citazione tratta dalla Parola di Dio (Dt 30, 19) che ho scelto per l’invito alla mia Prima professione. È lo stesso invito che rivolgo a tutte le ragazze (e ai ragazzi): è importante prima di tutto scegliere la propria felicità e poi operare dando un senso. Ciò che è senza senso a lungo andare viene fuori.
E alla Piccola Casa ogni vita ha un senso …
Certo, qui alla Piccola Casa si sperimenta il senso della vita nella sua fragilità e nel suo limite. Stando accanto agli ospiti sperimentiamo come loro siano capaci di accettare un limite che accolgono e vivono nella vita quotidiana. Allora ci interroghiamo sui nostri limiti che ci permettono di conoscerci meglio.
Abbiamo saputo che hai chiesto un regalo «speciale» per la tua professione. Di cosa si tratta?
Sì, sono una ragazza originale! Ho chiesto a chi ha piacere di farmi un regalo di donare un’ora del proprio tempo per gli altri: «vai a trovare una persona sola, prenditi cura del creato, a partire dalle nostre città e paesi, o lascia che la tua creatività sia libera di inventare il tuo modo di ‘Essere’ un dono!».
Deo gratias!
Intervista a cura di Stefano Di Lullo